martedì 31 maggio 2011

2011-05-31 Sbattimento

E chi sono io per non sproloquiare oggi? L'ultimo degli str...? No. O almeno non mi reputo tale, quindi...


Dunque, oggi è il 31 maggio 2011, sembra di essere al 25 aprile 1945.


L'aria che si respira e le facce della gente sembrano diverse dall'altro ieri.
Sarà suggestione mia, ma anche se piove (e credo che di questo abbia molta colpa Pisapia, a ben vedere...) mi pare di vedere più serenità, o per meglio dire, sollievo in parecchi volti.
Certo, ci sono gli scornati. I livorosi. Quelli che credono davvero all'invasione islamico-cosacca-comunista-tossica nelle piazze di Milano: anche perchè lo dice pure il capo, quello col tacco 9 nel mocassino. E quindi la soluzione comoda e pronto uso per chi non vuol correre il rischio di pensare è servita anche a questo giro di giostra. Ho letto davvero queste parole "ed ora speriamo che ognuno possa avere il suo campo ROM vicino a casa e possa mandare a comunione i propri figli nella vicina moschea, così avrete esauditi tutti i vostri sogni."
E ne sono rimasto allibito, ma come non si può piacere a tutti, non si può nemmeno pretendere di avere tutti la stessa idea. Perchè è giusto così. Il pensiero libero deve essere multiplo. Il pensiero unico ha già prodotto abbastanza sfaceli nella storia dell'Umanità.
In fondo, la ricchezza del Mondo nella sua globalità è data proprio dalle diversità e dalla possibilità di migliorarsi attraverso di esse. E il giorno che l'Italia lo capirà, sarà il momento in cui partirà per davvero la rincorsa per rimettersi in pari con il presente che ci ha lasciato indietro, bloccati come siamo agli Anni 80 dello yuppismo.
Bene: per far diventare quel 'siamo' in un 'eravamo', attendiamo quindi che Gordon Gekko e la sua genìa levino le tende e lascino entrare dalla porta principale il Presente per poter avanzare finalmente verso il Futuro.


Prima di mettermi a caricare di byte questo blog, volevo cercare l'immagine di un pesce che si dibatte alla ricerca dell'ultima molecola di ossigeno. O al limite una "bella" foto della mattanza dei tonni a Favignana.
So che è un'immagine magari cruenta, ma non trovo nulla di più consono a descrivere la sensazione che a me danno le dichiarazioni, le immagini, le facce contrite e i voltafaccia (Minzolini in primis: fino a ieri a zerbinarsi con le interviste e gli spot elettorali camuffati, mentre ora disquisisce di questione anagrafica per S. B.) che arrivano da ogni direzione da volti che hanno le guance arrossate dallo sberlone elettorale che li ha colti in pieno.
Solo pochi fedeli continuano a berciare, vedi Sallusti, che dimostra la veridicità di quanto si dice riguardo al più fedele amico dell'uomo e per la fedeltà dimostrata a B. meriterebbe un monumento come Zanna Bianca.
Altri, invece, si stanno contorcendo in ogni modo per liberarsi del guinzaglio, perchè devono mettersi in fretta a cercare la ciotola in cui sfamarsi a breve.
Tengono però il collare, pronto ad essere agganciato al guinzaglio del padrone di quella nuova ciotola.

Ed in questo agitarsi mi sembrano niente più che il pesce che, una volta sganciato dall'amo, viene depositato nel secchio. E lì si sbatte, si dibatte, si agita, sbatte contro tutti i suoi simili che gli fanno compagnia, alla ricerca di quella molecola di ossigeno che lo tenga ancora in vita. Anche a costo di rubarla al proprio simile, al compagno di branco fino a poco prima, nel pieno rispetto del "mors tua, vita mea".

Sì, è uno spettacolo triste e avvilente. Quasi quanto il Bagaglino perenne di questi ultimi anni.
E purtroppo, non c'è ancora la certezza che sia del tutto terminato.
Mancano ancora alcune tappe.
Ne manca ad esempio una, molto importante: il 12 giugno si dovrà ribadire quanto dimostrato tra domenica 29 e lunedì 30 maggio.
Negli ultimi due giorni bastava bastava una sola lettera: una grande 'X' su qualcosa che significa la speranza che un cambiamento ci possa essere.
Il 12 giugno, sarà necessario fare il doppio: prima una 'S' e poi una 'I'. Perchè quel 'SI' non sarà altro che scandire a chiare lettere ed a voce alta e ferma che questo è ancora un Paese dove, forse, si può continuare a vivere e sperare di costruire qualcosa.

Ora vado.
Fantozzianamente devo preparare la frittatona di cipolle, la Peroni gelata che accompagni il rutto libero e godermi la copertina di Crozza a Ballarò.

domenica 22 maggio 2011

2011-05-22 Vento

Il vento quando è forte, ma forte per davvero, stimola tutti e cinque i sensi.
Senti il rumore che fa e odi le voci che si porta appresso.
Vedi le chiome degli alberi spostate o l'acqua del mare che si increspa.
Se sei all'aperto ti penetra nei pori della tua pelle, insinuando la sua irrequietezza.
Annusi i profumi, gli odori che trasposta con sè da chissá dove. 
E lo gusti pure, perchè quell'aria così carica di suoni e odori ha anche un gusto particolare: di polvere e sabbia e pollini e tutte quelle microparticelle che galleggiano nelle sue correnti d'aria.

E poi tocca il tuo sesto senso. Quell'equilibrio profondo e interno. E le sue folate fanno sí che devi ritrovare il bilanciamento.

Il film Chocolat ha davvero ragione quando fa dire alla protagonista che deve andare, perché é il vento del nord che la chiama. Ecco io non so assolutamente da dove soffiasse domenica scorsa il vento che ha piegato e spazzato alberi, foglie e il mare di Porto San Giorgio. So peró che mentre pettinava le preoccupazioni di una stagione sportiva/lavorativa, per converso aveva lo stesso effetto della mano che passa al contrario sul velluto. Increspa.
Ugualmente faceva il vento sul mare di fronte alla mia camera.
Oggi, a sette giorni di distanza, il vento soffia ancora anche se gli alberi non sono piegati e le foglie non volano via.

lunedì 16 maggio 2011

2011-05-16 Crepuscolo

Il momento della giornata che preferisco é il crepuscolo, non importa la stagione in cui lo si vive.
Non è già più giorno, ma non è nemmeno ancora notte. Sei lì, nella zona mista, di passaggio. Dalla luce al buio.
La sua luce rossastra o arancionata, le luminarie che si accendono, i contorni ancora visibili dei palazzi, delle colline, delle montagne come del mare. Prendi un belvedere e ammirane il panorama: la sua dimensione percepita sará totalmente differente a seconda del momento della giornata in cui lo si vive. Con la piena luce e la sua definizione assoluta, con l'oscurità notturna e la sua vaghezza indefinita. E poi il crepuscolo: inizia l'imbrunire, che non nasconde, ma cela velatamente i difetti ed esalta i pregi con le luci che iniziano ad illuminarne i punti salienti senza peró renderli falene dalla vita lunga una notte, prima che si confondano nuovamente nella vista totale della luce diurna.
I contorni continuano a vedersi, ad intravedersi, ma allo stesso tempo le luci sono accese a fungere da evidenziatore "naturale".

Mi piace il crepuscolo perchè viene dopo una giornata in cui tutto é lì, sotto la luminositá piena del sole; ma viene prima dell'oscurità notturna, quando è tutto poco visibile (se non del tutto invisibile) e si deve "completare", come quei percorsi tratteggiati della Settimana Enigmistica che unisci i punti da 1 a 36 e viene fuori la vignetta.

Di giorno è tutto così chiaro che sfiora quasi la banalità; mentre con quella luce particolare del crepuscolo, tutto acquista un'aura più interessante: diventa più misterioso e quasi si completa. Si ammorbidisce degli spigoli quotidiani.
Di giorno, con tutti i difetti bene illuminati, la visione é nei fatti globale e prosaica. Di notte è forse ancor più misteriosa, ma sfiora l'eccesso immaginifico di dover compensare la mancanza di visione con la fantasia.
Al crepuscolo, invece, il bello si vede e viene accentuato e portato all'attenzione dalle illuminazioni preposte. E pure il brutto é visibile, solo non avendo illuminazioni dedicate, rimane in secondo piano, ma é lí: affiancato al proprio contraltare. Con il crepuscolo non succederà mai come dopo una notte, cioé che si potrà dire che non ci si era accorti prima che fosse così.
Al crepuscolo é tutto visibile: come una bella donna accentua i propri punti forti, cosí l'imbrunire passa un velo di fard su quanto é meno bello in maniera naturale, senza occultare, ma solamente per contrasto con quanto di bello viene esaltato dall'illuminazione.

Si potrà dire che il crepuscolo é la definizione del detto latino in medio stat virtus della giornata. Perfettamente nella metá tra la luce rivelatrice e la notte occultatrice. Cavandone i pregi di uno e dell'altro e tralasciandone i difetti.

I rapporti umani dovrebbero essere sviluppati all'insegna dell'imbrunire: obbligando le persone diurne, e quindi senza filtri e tutte lì: visibili e comprensibili alla luce del sole, a vivere l'imbrunire per accentuare i propri pregi e quindi sminuire i propri difetti. Allo stesso modo, forzando i notturni, appesantiti o celati dai troppi filtri, a puntare verso se stessi un po' di luce rivelatrice che faccia un po' di chiarezza su quanto si é obbligati ad immaginare per mancanza di contorni definiti e visibili.
Di modo che individui crepuscolari (non nel senso letterario dei Quasimodo e compagnia) possano sviluppare relazioni e rapporti interpersonali senza equivoci o inganni da ambedue le parti.
Pane al pane. Vino al vino.
Il gioco della scoperta consisterà non tanto nel celare e scoprire, quindi, quanto nel variare il puntamento della luce sulla totalità della persona, senza che gli aspetti non direttamente illuminati vengano mescolati nelle tenebre notturne e scompaiano, perché sarà tutto visibile, solo ci si dovrà applicare per averne la conoscenza piena.
Tutto sará lí: si vedrà prima la luminosità di un bell'aspetto e poi, chi vorrà proseguire nella conoscenza di un crepuscolo, potrà andare avanti e vedere, conoscere e persino apprezzare le parti meno illuminate. Senza che queste siano mai una sorpresa.

In fondo, basta un po' di luna piena, una nuova spruzzata di vista di S. Luca illuminata (ma nella notte e senza poter scorgere il profilo della sua collina), un po' di Beethoven mischiato con le Quattro Stagioni di Vivaldi ed il cocktail é servito: fresco, notturno, delicato come certi fiati del Primo Movimento della Quinta e dirompente come certi archi della stessa Quinta che partono lontano e arrivano come un'esondazione per le vie di un piccolo borgo.
Travolgendo tutto.

Anche il filo logico del ragionamento.

sabato 14 maggio 2011

2011-05-14 Accento

L'accento è quella macchia d'inchiostro che sporca la pagina sopra la parola "t'affogherò".
(vi sareste mica attesi la parola "t'amo/t'amerò"?!?!?!)

Sarà perchè la musica è Musa (non quella della Lancia). Sarà il mare che si vede dalla camera di Porto San Giorgio. Sarà perchè CapaRezza è un giocoliere della parola a livello di Bergonzoni.
Sarà per scommessa e sfida che prendo una parola al giorno e ci provo, sarà perchè in fondo la lingua italiana è stata una roba che mi ha accompagnato nella "formazione" verso l'essere adulto o perlomeno di età adulta, ma la cosa mi diverte e pure parecchio.

La differenza di un accento è enorme. Specie in una lingua cosiddetta libera come l'italiano e viene identificata in esso una funzione distintiva per differenziare parole identiche nella parte della composizione grafica, ma con differenti fonemi che determinano connotazioni diverse nel significato.
Esempi sparsi:
àncora vs ancòra
pròtesi vs protèsi
prìncipi vs princìpi
vàluta vs valùta
àmbito vs ambìto
ecc ecc...


Ed avendo usato in maniera concreta il 30 di grammatica italiana, mi sono messo a posto la coscienza di mancato studente modello.. e il primo che dice che non ci va gran scienza, quanto un semplice clic su Wikipedia, gli tolgo il saluto. E tralascio appunto quel che dice l'enciclopedia online e free di accenti nelle altre lingue più rigide o dell'accento musicale. Per quello c'è appunto Wikipedia...


Però, seriamente: un accento può cambiare di molto la percezione ed ancora di più un significato.
Basta un piccolo sbaffo nero su una pagina bianca o una leggera diversa intonazione nel parlato che cambia tutto.
Differenze: minime, ma sostanziali.
Le lingue tendono alla semplificazione (non omologazione, ricordarselo bene...) e da qui deriva lo scempio e l'assassinio ripetuto di congiuntivi e condizionali nella nostra lingua, così come ha determinato nell'inglese la scomparsa del genere nella formulazione degli articoli (è tutto un 'the').


Un accento nell'italiano non è quindi altro che il paradigma della diversità? Della varietà?
Noi, che nella nostra lingua, abbiamo per ogni regione un modo di dire diverso per chiamare gli organi sessuali (giusto per fare l'esempio più semplice).
Per prendere un altro esempio facile facile: noi, proprio noi, che diciamo la stessa parola -"cocacola"- in maniera diversa in base alla regione, se non provincia (così i toscani non se la prendono).
Hoha-hola toshana, come la 'o' apertissima di un piemontese o chiusa di un sardo o tronca di un marchigiano.
Però se dalla Tunisia (o altro Paese a casa che ingrassi scafisti) non vengono ad attraccare proprio a Lampedusa magari è meglio...
Ad imparare si fa sempre a tempo, eh?


Però se dobbiamo servirci di un piccolo artificio grafico o fonetico per distinguere cose identiche e differenziarle non per questioni di valore, ma di semplice e puro e "altro" significato, possibile che non diventi automatico comprendere che il luogo di nascita di una persona non sia nient'altro che l'accento della propria nascita. Che sottolinei semplicemente un'altra provenienza e che da questa ci siano solamente possibilità di arricchimento? Mah...troppo sociologico e pesante, oggi. Mi direi "cheppalle" da solo...


La ricchezza è in questa quasi infinita possibilità di combinazioni e stiamo tutti a cercare di parlare uguale? Ok, accettiamo che si tenda a parlare se non proprio uguale allora molto molto simile, magari però si può continuare a cercare di avere pensieri differenti.
Parlare tutti uguale/simile non significa certo dire tutti le stesse cose. Ci saranno solo sette note, giusto? Ma ci saranno pure i diesis e i bemolle..
Perchè se la lingua tende alla semplificazione, non è di certo così per il pensiero e men che meno per il Mondo che anzi crea dei melting pot non soltanto linguistici (l'inglese di un indiano londinese è parecchio diverso da quello di un newyorchese wasp come da quello di un messicano immigrato in California, come da quello di un australiano o da Pippa, la cognata di Will il principe azzurro dalla calvizia incipiente) ma anche corporei e basta un "giro" a New York o in un film americano per rendersene conto.
O ci siamo dimenticati che gli occhi azzurri nel nostro meridione sono un'eredità dei Normanni?


Quindi ben venga un accento nella vita che connoti (e tra denotazione e connotazione ce ne sarebbe da scrivere...anzi..l'hanno già fatto quelli bravi per davvero). 
Che poi, alla fine, a ripensarci: questa pippa (con la 'p' minuscola, "perchè le parole sono importanti", ma anche le lettere gli accenti e ci aggiungo la punteggiatura hanno valenza notevole) è tutta nata da una virgola e non da un accento, ma da lì, si sa il pensiero è labile, la donna immobile e i neri hanno il ritmo del sangue al pari delle mezze stagioni ormai scomparse..


"Io non voglio essere capito. Io voglio essere, capito?" (CapaRezza)

venerdì 13 maggio 2011

2011-05-13 Paura vs Passione

La paura è il contrario delle passione.

La fonte è la portinaia del palazzo di uno speaker radiofonico di un programma pomeridiano. Quindi non per forza un'origine aulica, quanto riconducibile alla definizione di "saggezza popolare".
E nelle radici di un'affermazione del genere ci puó anche stare un fondo di reale verità.

La paura potrebbe essere assimilata ad altri significanti. Insicurezza o sensibilità (che sono poi la stessa cosa vista da due lati diversi). Timore reverenziale. Timidezza. Codardia. Consapevolezza (vedi ció che diceva il giudice Borsellino).

Non so perchè ma, ancora una volta, vedo S. Luca dall'autostrada e inizio a seguire/ascoltare/SENTIRE The Streets e, sui cori di Heaven for the weather, inizio a pigiare i tastini di un blackberry prima che Your fit but you know it mi rammenti di quando mi innamorai perdutamente di quel suo accentaccio inglese..

Ma si diceva della paura: é l'opposto della passione come diceva la portinaia di cui sopra? Chi puó dirlo? A me non sembra o forse sí. Forse sì perché inibisce un qualcosa dentro, ma non per forza per escludere passioni dal nostro flusso vitale quotidiano.
La paura è una forma di tutela, di autodifesa, di meccanismo scatenato dall'istinto di conservazione? Mhmhmh..
Non convinco nemmeno me stesso con queste parole: credo che soprattutto per quanto riguarda una passione, la paura non possa e non debba essere un attore protagonista. Credo che soprattutto quando la scenografia é quella della sfera emozionale/emotiva non ci possa essere "paura". Anzi l'unica ammessa è la paura di avere un rimpianto.
Perchè ridestarsi a distanza di qualche anno e pensare "cosa sarebbe successo se io...", "come sarebbe andata se io..." é ormai quasi paragonabile al peccato capitale al (non) aver morso la mela di Adamo&Eva.
Per queste ragioni, inseguire un'emozione deve scavallare ogni collina creata dalla paura. Di qualsiasi origine sia. Cercando di non fermarsi di fronte alle proprie esitazioni (ancora un modo diverso di definire la "paura"?), ma procedendo; forzandosi ad andare avanti. In nome di ciò che alla fine muove.

E non puó mai essere la paura a muovere.
Perchè la paura non muove mai; la paura ferma. Blocca. Non c'é un movimento in avanti prodotto dalla paura, al massimo fa indietreggiare: l'unico spostamento concepibile dalla paura.
La passione al contrario è un motore. Muove, lei sí, a prescindere dalla sua origine. Muove, spinge, stimola.

E anche una giornata storta scaturita dalla spinta della passione, sarà sempre più sopportabile di una giornata dedicata all'inerzia prodotto dalla paura.
Ripetendosi: perchè se inseguire un'emozione é una sorta di comandamento alla faccia del cinismo (ennesima altra trasformazione semantica di "paura" in una sorta di freddezza, distacco, disillusione preventiva?). Perché per passione si rincorre. E lo si puó fare solo in avanti e quindi generano un movimento e inoltre cancella la possibilità che un giorno, alzandosi e volgendo lo sguardo oltre la vetrata che dal Dakota Building dà su Central Park (tutto molto John Lennon, mi rendo conto), ci si chieda "come sarebbe stato se io..", "come sarebbe andata se io..".

Anziché let it be e lascia che sia: take a walk on the wild side e vattela a prendere.

mercoledì 11 maggio 2011

11-05-2011 Oggi è ottobre



Oggi è ottobre.
E' una di quelle giornate calde di ottobre. Quelle che chiamano ottobrate. Quando volendo puoi ancora stare solamente in camicia e se mangi al sole senti la pelle che si riscalda come tre mesi prima, quand'eri al mare, solo che non ti scotti e dopo non devi metterti la crema idratante quando rientri in casa.

Oggi è ottobre.
Fa caldo, ma i segni che l'autunno avanza ci sono e sono ben visibili. Le foglie gialle, rosse, con tutte le tonalità di arancione sono ovunque: alcune appese strenuamente agli alberi cercando di vincere il destino. Alcune planano seguendo la forza di gravità e ogni minuscolo refolo, descrivendo traiettorie ellittiche prima di appoggiarsi una sull'altra per terra. Alcune sono già state vinte, hanno persino già compiuto il tragitto aria-terra e sono sul suolo, ad attendere le gemelle di sfumature diverse e a far loro da atterraggio morbido, frusciante e scricchiolante.

Oggi è ottobre.
Guardo fuori dalla finestra e la luce fa pendant con quel che resta tra i rami, ma fa troppo caldo per la polenta coi funghi.

Anzi, ora che ci penso bene: è da ieri che è ottobre.

lunedì 9 maggio 2011

2011-05-09. Totale 1082km

Un tranquillo weekend sedentario.
Le mie chiappe si sono mosse per il totale di km sopra citato.
Biella-Cantù-Biella-Casale-Tavagnasco-Biella-Bologna-Biella.
Da ieri mattina a poco fa.
Perchè?
Perchè come dicono quelli bravi, ma con una frase banale "non importa la destinazione, quanto il viaggio".
E sentirsi in viaggio, in movimento, oggi e ieri, è stato ciò che ci voleva piuttosto che abbruttirsi sul divano.

Perchè il/la futuro/a Tommaso/Carolina meritavano una visita a domicilio e conseguente interrogazione al padre e madre di quella creatura che ha scampato il serio pericolo di chiamarsi Maria Maddalena.
E poi dirigersi verso Tavagnasco per uno spettacolo dei più soddisfacenti per me degli ultimi anni. La musica potrà anche non piacere a tutti, ma Caparezza è un entertainer vero. E coinvolge. Non ti fa sentire nemmeno in colpa perchè non conosci tutti i testi a memoria, ma ti fa muovere la capa a tempo e te ne vai dal concerto contento di aver messo il tuo sabato sera lì dentro quel tendone.
Con la compagnia giusta, per di più.
E poi Bologna: saranno suggestioni, ma una volta una persona che da Milano si mosse a Torino mi disse che camminando per le strade sabaude si era sentita subito meglio, rispetto alla frenetica capitale lùmbard. Quasi che Torino e i torinesi, non propriamente conosciuti per l'ospitalità e il calore umano, l'avessero accolta immediatamente ed immediatamente l'avessero fatta sentire a casa, molto più che negli anni milanesi.
Ecco, oggi a Bologna, come già in passato, è capitato qualcosa di simile a me. Non che dove vivo stia male. Anzi.
Ma lì è una cosa di pelle, quasi che si acquietassero le nuvole e si rasserenasse il cielo. E nonostante il fortissimo vento che si è alzato nella parte finale della giornata. E tutte le volte che sento il vento soffiare forte mi viene in mente il film Chocolat: "Ma l'irrequieto vento del nord non era ancora soddisfatto. Parlava a Vianne di città ancora da visitare, amici bisognosi da scoprire, battaglie da combattere...." ed è un nanosecondo andare a pescare nella memoria Chatwin e la sua "Anatomia dell'irrequietezza" quando ricorda che "Il nomade rinuncia; medita in solitudine; abbandona i rituali collettivi" e che "per i beduini del deserto, casa è semplicemente quanto può essere caricato sul dorso di un mulo". Quindi? Quindi boh. Forse, come detto, saranno solo suggestioni.

La "nipotina acquisita" è una dinamo inesauribile di energia ed ora sul girello è più di un allenamento serio per la maratona. Ma nella "pausa" per girare in centro per un eventuale aperitivo, con Matteo Caccia nelle orecchie (una voce ed un programma - Io sono qui - che meritano: con le basi musicali di sottofondo per me straordinarie e spesso delle chicche tra i due pezzi al giorno che mettono), ci si sentiva bene, quasi sorridenti, nel camminare tra le tante persone ma come se si fosse sott'acqua, senza udire alcun rumore se non il raccontare della voce teatrale di Caccia.
Poi, l'aperitivo è stato sostituito da lunga visita in Feltrinelli dove ho barattato mezzo litro di sangue per un po' di Foster Wallace, il nuovo Sedaris e una scorta di aria condizionata, visto il maggio agostano che si viveva oggi... Inoltre, sottolineando con piacere a se stessi di non provare nessun rosicamento nel non vedere La parte rimanente in alcuno scaffale.

E poi ancora un'ultima tappa, prima di mettere il muso a nord, un boccone rapido e salutare Giulia che si stropiccia gli occhi e agita la manina prima che vada a dormire.

E poi San Luca, che con la luce delle nove di sera di maggio non è completamente buia pur avendo le illuminazioni già accese, è una bella cartolina da mettersi negli occhi e da sovrapporre al nastro asfaltato dell'autostrada; nell'abitacolo ancora Matteo Caccia a raccontare (God bless the podcasts) e non serve null'altro, giusto un po' di the freddo al limone per la sete..

E poi ancora il vento, forte, in tangenziale a Bologna, nell'autostrada del Sole, nella Milano-Torino, fuori dal casello di Carisio e su fino a Biella.
Un compagno fedele in questo viaggio, insieme all'iPod e alle domande che porta proprio il vento.
Le risposte? Come diceva Bob Dylan: blowin' in the wind.
Solo, tutto sta nel comprenderle.

domenica 8 maggio 2011

2011-05-07 Testa riccia

Inizio ringraziando Matteo e Lorenzo che sono stati miei compagni di sventura anche loro malgrado, fermandoci a Tavagnasco Rock e non proseguendo verso la Torino invasa dagli Alpini che ci avrebbe fatto molto "male"...

...e termino con Caparezza: uno degli spettacoli più belli visti negli ultimi dieci anni. Per questo, mi riprometto di parlarne ancora, per annoiare chi ne leggerà oppure semplicemente per approfondire l'argomento che Michele dalla Puglia ha contribuito per la maggior parte a tirare fuori...

Buona notte

venerdì 6 maggio 2011

2011-05-06 Enorme schwanzstuck

Perchè alla fine, parliamoci chiaro, Mel Brooks è un genio. Gene Wilder pure.
Per Marty Feldman ci vorrebbe invece il Johnny Depp di Donnie Brasco che "minchia sti peperoni chettelodicoaffare"... Perchè se non adorate quell'uomo e quell'attore, specialmente in Frankestein Jr, allora non vogliamo conoscervi.

Ma non fuorviamo. Il video alla fine è importante:



Per carità, niente fatalismi, ma semplicemente un monito, perchè il destino sarà pure quel che è, ma siccome tutta l'arte è rispettabile, c'è gente che ha fatto un pezzo sullo smettere di guardare indietro.
Gli a me sconosciuti Grand Funk Railroad lo dicono a ripetizione con quell'organetto che fa tanto Ray Manzarek (rifiuto e/o rinnego anche l'amicizia a chi non sappia chi sia quest'uomo) in questo pezzo.
E vabbeh, vogliate perdonare le divagazioni, ma le menti schizofreniche faticano a restare su un solo binario...eheheheheh...

Infatti mi sovviene giusto giusto una canzone dei Kinks, No more looking back, che si accorda altrettanto bene...

Ok, ora spengo la scimmietta di Homer Simpson e cerco di essere lineare!

Si diceva che magari è ora di smettere di volgere lo sguardo indietro. Anche perchè il passato non dà da mangiare (a meno che La parte rimanente venda 1 milione di copie, sia tradotto in 15 lingue e se ne faccia un film ed una serie tv...bum...e i fuochi d'artificio di Capodanno a Napoli sono nulla...).
In tv le Final Four di Eurolega meriterebbero un filo d'attenzione in più, essendo il meglio del basket continentale. Ma se occorre stoppare il collo che si snoda come nell'Esorcista per guardare indietro e restare con lo sguardo fisso in avanti, va bene così: Real Madrid-Maccabi Tel Aviv va bene come tappeto sonoro, mischiato ai glammissimi Killers di Mr. Brightside.

Perchè è tutto un guardarsi indietro, pur trascinati da una spinta in avanti.

Con la voglia di prendere la chitarra e farsi tornare i calli ai polpastrelli e suonare, cantando e stonando a squarciagola i Deep Blue Something e l'unico loro pezzo degno di nota per il mainstream: Breakfast at Tiffany's.
Con quel verso che è sul mio braccio perchè è il significato di una vita.
Forse.
Ecco, mettere una in fila all'altro and so much is left undone e la canzone preferita dei Mambassa da collo ritorto all'indietro, Otto giorni, in cui altro che
otto giorni di fottuta pioggia 
quasi senza sosta 
e mille frasi in fiamme nella testa
senza risposta.


Direi che per una volta o per sempre si può anche stoppare e guardare avanti, suonare fino a far sanguinare i polpastrelli. Lo dice anche Manuel Agnelli, no che non è per sempre (Primo Maggio 2009, quindi audio scadente) e che per quanto se la tiri e se la meni lui lì sa fare musica.
Quindi, assunto che non è per sempre il guardare indietro, bene, guardiamo avanti, in fondo il tuo diploma in fallimento è una laurea per reagire (versione originale dell'album, missaggio perfetto)...
Beh...quindi reagire.
Tutta sta sbrodolata per dire guarda avanti, look forward, datte na mossa?
Eh...sì...e no non saremmo innamorati delle lettere. Sarà mica un problema...

E poi il divertente è che avevo la chiosa perfetta, ma il fuoriuscito dal Nido del Cuculo me l'ha fatto dimenticare: ricordo solo che volevo aprire e chiudere con Frankestein Jr e che c'entrava un enorme schwanzstuck, ma va a ricordarti cosa e come.
Quindi: enorme schwanzstuck... Anche se non diventerà molto popolare.




PS.: di positivo c'è che credo di aver battuto il record mondiale di hyperlink, con questa abbuffata di collegamenti ipertestuali...

mercoledì 4 maggio 2011

2011-05-04 Vomitare. Come fare?

E' strano accorgersene e provare con mano.
Perchè in certe cose, per quanto ci si sforzi e ci si impegni, alla fine la riga orizzontale sotto cui si fa la cifra totale è impietosamente sincera.

Quando si deve fare un qualcosa che ha a che fare con noi, nulla funziona se non è "spontaneo" e "naturale". Qualsiasi cosa relativa all'emotività non può essere programmata e razionalizzata.
Se si prova a forzare la cosa, avrà sempre quel sapore artefatto. Di surrogato.
Come il caffè che i fascisti facevano bere agli italiani (no...non l'olio di ricino...) nel Ventennio con la pretesa dell'Autarchia.
Sì...era nero...era liquido...ma vuoi mettere con il caffè vero e proprio?

E così l'altra sera è stato tutto stentato, faticoso, senza riuscire a mettere insieme nulla che non venisse corretto pochi minuti dopo.
E nonostante sushi e Riesling come due anni fa.
Invece, ora mi trovo a guardare quanto fatto senza fatica apparente: semplicisticamente venuto fuori. Oppure, per usare un termine suggerito e piaciuto fin da subito: vomitato.
E nonostante il riso con le verdure alla messicana e il tabasco, accompagnato dal Ruchè.

Due estremi all'opposto ma che hanno funzionato entrambi, anche se in tempi diversi: Giappone+Trentino vs Messico+Monferrato.

I meccanismi per vomitare non sono mai scontati.
Ok le due dita in gola, ma ne risentirebbe la tastiera del mac.

martedì 3 maggio 2011

2011-05-03 La parte rimanente va in radio

Ed è stato decisamente meglio.
Evidentemente le telecamere hanno un potere inibente sulla capacità oratoria del sottoscritto.
Me ne farò una ragione, d'altronde la TV è la spada laser del darth vader italiano...

E il godimento di stare con un giovane e promettente autore come Luca Marozzi (Invocando la tempesta per salvarti dal male) è stato entusiasmante.

Ora per chi abbia voglia di ascoltare una voce nasale che bofonchia qualcosa di Seba e dei suoi amici...

La parte rimanente su Radio Nettuno